Premessa

Il bambino fin dai primi mesi di vita assume un ruolo attivo nel rapporto con la figura della madre la quale, se è adeguata, gli permette di acquisire quella sicurezza che gli consentirà poi di rispecchiarsi nel modello parentale positivo e di interiorizzare l’immagine idealizzata, iniziando il processo di strutturazione del Sé. Nelle comunità mamma-bambino l’équipe educativa è impegnata ad individuare e a lavorare sulle capacità genitoriali della madre accolta.

Ciò avviene a causa del livello di compromissione del sistema familiare, all’atto dell’allontanamento dallo stesso del minore. In effetti, i provvedimenti di “messa in protezione” dei minori sono spesso emessi solo a “situazione già esplosa”, spesso estrema e molte volte irrecuperabile.

Per una genitorialità sufficientemente buona i punti cardine sono:

  1. sviluppo di una sensibilità ai segnali che vengono dal bambino 
  • capacità di rispondere adeguatamente ai differenti bisogni che caratterizzano le differenti fasi del suo sviluppo del bambino 
  • capacità di gestire le interazioni sociali, le situazioni difficili e gli eventi vitali perturbanti 
  • sapere come giocare, parlare ed interagire con il bambino 
  • saper usare la disciplina in modo tale da ottenere la messa in atto del comportamento desi- derato da parte del bambino in maniera armonica ed adeguata a favorire l’incremento del suo autocontrollo. 

Altro pilastro per una buona genitorialità è l’attaccamento che definisce la qualità del legame nell’interazione madre bambino: più alta è la qualità di questo legame, più l’attaccamento è positivo, con un’inevitabile ricaduta sullo sviluppo socio-emotivo e cognitivo del bambino. 

Il lavoro educativo in una comunità mamma-bambino è chiamato a gestire situazioni in cui si possono ritrovare dinamiche emotive e psicologiche molto profonde. 

Nei casi più semplici si ha a che fare con mamme che hanno sofferto frustrazioni e disaffezioni, le quali hanno conosciuto esclusivamente ambienti poveri di valori, di stimoli e/o di modelli positivi da emulare. 

Alcune volte la conflittualità con la famiglia di origine è così forte che le mamme non riescono a costruirsi un percorso autonomo del proprio ruolo materno. 

Nei casi più complessi invece ci si trova di fronte a persone che hanno sofferto maltrattamenti, abusi, violenze fisiche e/o psicologiche. 

Compito di chi lavora in comunità mamma-bambino diventa quello di occuparsi di persone ferite che, assumendo atteggiamenti di difesa, tendono a chiudersi. 

Occorre non solo garantire a queste mamme vitto e alloggio ma bisogna offrire qualcosa che ha a che fare con la componente educativa della “cura” nelle sue accezioni di assistenza, riabilitazione ed educazione.